4 settembre 2010

Moorea, l'isola dei pirati

Le isole Polinesiane sono splendide, si sa. Ma scoprirle via mare è un'esperienza straordinaria.
Un caro amico ha invitato me e la mia famiglia a passare un weekend a Moorea sulla sua barca a vela.
Così, dopo cinque ore di navigazione, ci siamo ritrovati in un nuovo mondo. Moorea, seppur così vicina, rimane autentica. Si può ancora gustare l'atmosfera polinesiana di altri tempi, la vita semplice e tranquilla delle isole.
La fortuna ci ha graziato con un sole meraviglioso, il vento ideale per navigare a vela, e i delfini ci hanno accompagnato all'uscita dalla passe di Papeete.
Abbiamo gettato l'ancora nella baia di Opunohu, nel turchese della laguna.
Il fine settimana è trascorso tranquillo, tra tuffi e bagni in mare, a nuotare con le razze, le tartarughe e gli squali.
E, per finire in bellezza, durante il viaggio di ritorno abbiamo potuto ammirare anche le balene!
Ecco le prove:


19 giugno 2010

Il maa'a


Una delle cose che amo del viaggio è la scoperta di gusti e sapori nuovi. Si può imparare molto di un popolo attraverso la sua cucina e le sue abitudini alimentari.
Abituata a viaggiare verso luoghi caldi, tropicali, dalla cucina speziata e piccante, quella polinesiana si è rivelata molto differente. È una cucina molto povera, priva di gusti pronunciati o piatti elaborati. Ma io amo la semplicità, e mi è piaciuta subito.
I polinesiani non sono mai stati un popolo di coltivatori e allevatori. Grazie all’abbondanza offerta della natura non hanno mai dovuto affrontare inverni lunghi e scarsi, siccità o carestie. Era sufficiente andare a pescare nella laguna, o allungare una mano per gustare un frutto fresco e succulento.
L’arrivo dei francesi e dei cinesi ha arricchito e modificato i piatti tradizionali e gli alimenti di base, ma tutto è stato rivisto in “salsa” polinesiana. Non dimentichiamo inoltre che la Polinesia è un territorio francese, quindi nei supermercati si possono trovare prodotti simili a quelli presenti sui nostri scaffali. Eppure, malgrado la ricchezza delle cucine importate, la tradizione polinesiana rimane forte e viva.
Il cibo non manca mai. Se ne trova per tutti i gusti, a quasi tutte le ore e per qualsiasi portafogli. C’è l’imbarazzo della scelta, dai ristoranti rinomati e costosi dal menù tipicamente francese, alle roulotte, vere e proprie istituzioni polinesiane. Le roulotte sono semplici furgoncini, con cucina e frigoriferi, che dalle 18:00 si appostano lungo le strade o nei parcheggi vuoti dei negozi e offrono piatti pronti, da mangiare sul posto, su tavole e sgabelli di plastica, o da esporto. La scelta e la varietà delle pietanze è enorme, dalla pizza allo cho-men cinese, dal pesce alla griglia agli spiedini di cuore di bue o pollo, dalle crepes alle specialità caraibiche. Ogni roulotte ha un suo menù, piuttosto ridotto, ma i prodotti sono sempre freschi, le porzioni abbondanti e non molto care.
Come ovunque nel mondo, i pasti hanno un’importanza particolare e, anche se la vita frenetica della settimana obbliga i lavoratori a consumare panini o insalate rapide e leggere, alcune tradizioni resistono. La domenica si mangia tradizionalmente il maa’a Tahiti, un pasto composto da carne di maiale o vitello, taro, uru (il frutto dell’albero del pane), e fei (banane rosse da cuocere) stufati in un forno interrato per ore e ore. La difficoltà e la durata della preparazione stanno facendo sparire quest’usanza, ma non l’abitudine polinesiana di ritrovarsi in famiglia la domenica e mangiare insieme. Molti organizzano delle colazioni. Ogni invitato porta un piatto trasformando la colazione in un bruch a base delle classiche pasticcerie francesi, come croissant e pain au chocolat, sashimi di tonno o gamberi, pain coco (un pane dolce a base di latte di cocco) e l’immancabile poisson cru. Anche gli hotel di lusso si sono adeguati e la domenica mattina offrono un buffet ricco e variegato, e molti polinesiani passano la mattinata a rimpinzarsi, per poi finire nella piscina dell’hotel.
Oltre al maa’a Tahiti e il tonno, da considerarsi la colonna portante dell’alimentazione polinesiana, tra gli altri piatti tipici possiamo citare il pua roti (il maiale arrosto), il mahi-mahi grigliato o con salsa alla vaniglia, e il fafaru, un pesce lasciato a marcire per settimane nell’acqua di mare (non ho ancora osato assaggiarlo!) che spesso sono ancora consumati come una volta, ossia su larghe foglie di banano o uru con le mani.
Bisogna però ammettere che i polinesiani prediligono la quantità alla qualità. Sono dei veri mangioni, ingurgitano di tutto, di preferenza fritti, grassi e zuccheri. Il McDonald’s di Papeete fa la più grande cifra d’affari del mondo, e la coda di macchine al drive-through è interminabile, a qualsiasi ora del giorno.
Questa dieta equilibrata ha reso il popolo polinesiano tra i più obesi del mondo, e il tasso di diabetici è spaventoso. Nell’immaginario collettivo, eredità pre-europea, più si è grossi meglio è, e i capi vengono giudicati e scelti in base alla loro massa. I balaises (parola francese per indicare le persone muscolose, massicce) vengono guardati con enorme rispetto.
Ma basta andare nelle isole per ritrovare gli indigeni che tanto hanno affascinato per la loro bellezza e fisicità i primi esploratori.
Per concludere vi lascio con la ricetta regina di Tahiti. È una bontà, ottimo per i mesi estivi, ma attenzione, il latte di cocco può avere effetti lassativi piuttosto rapidi e spiacevoli!

11 marzo 2010

Il mio primo ciclone



Il primo allarme è stato dato il 26 gennaio. Una tempesta tropicale forte si stava dirigendo verso la Polinesia, con il rischio di intensificarsi e diventare ciclone. Fortunatamente ha perso d’intensità e, la notte del suo previsto arrivo, è stata calma, stellata e senza vento. Ma una seconda sorpresa aspettava dietro l’angolo. Un’altra tempesta tropicale moderata sembrava prendere la direzione di Tahiti, muovendosi rapidamente e guadagnando sempre più intensità. Così il 2 febbraio è diventato ufficiale. La tempesta tropicale Oli, ormai forte, si dirigeva verso di noi trasformandosi in ciclone. Le misure di precauzione sono cominciate immediatamente. Gli alberi sono stati potati, le barche assicurate con doppi ormeggi, i tetti delle case fissati al suolo con corde e cavi, finestre, porte e aperture rinforzati. Alla popolazione è stato consigliato di barricarsi in casa, o eventualmente nei rifugi adibiti nelle scuole o centri sparsi in tutte le isole.
Il vento ha cominciato a soffiare mercoledì 4 febbraio, ma il ciclone vero e proprio ci ha raggiunto durante la notte. Le scuole hanno chiuso e la gente è tornata a casa dal lavoro. Alle 22 è scattato il coprifuoco. Divieto di circolare per le strade e obbligo di rinchiudersi in casa.



È stata una notte lunga. Il rumore del vento e della pioggia è stato assordante, e di certo lo spirito non era tranquillo. RFO Polynésie, la radio francese dell’oltremare, ha tenuto la popolazione aggiornata tutta la notte e i giorni seguenti, garantendo il contatto tra le isole e le famiglie sparse sul vasto territorio polinesiano.
Fortunatamente l’occhio del ciclone è passato a 270 km da Tahiti, quindi i danni non sono stati eccessivi, il bilancio avrebbe potuto essere ben peggiore. Ma i tahitiani che hanno vissuto i cicloni dell’83 o del ’97 non hanno chiuso occhio. La stagione ciclonica di quegli anni è stata davvero devastatrice e molti, troppi, hanno perso la casa e tutti i loro averi.
Uno dei grandi vantaggi della Polinesia è sicuramente la presenza della Francia. Senza di essa i danni sarebbero stati ben maggiori, e le isole più toccate non potrebbero sperare in aiuti così rapidi ed efficienti.
La situazione è stata gestita con molta serietà e intelligenza. Météo France ha allestito un numero d’emergenza con aggiornamenti costanti sull’evolversi del ciclone, sono stati creati rifugi per la popolazione, la radio ha assicurato le comunicazioni e numerosi volontari si sono prestati per venire in aiuto a chi ne aveva bisogno. Sarà forse che il Ministro dell’Oltremare francese era da poco arrivata a Tahiti? Probabile, ma almeno è servito a qualcosa.



Alle 9 di giovedì 5 febbraio è stato tolto il coprifuoco e il divieto di circolare, e la situazione ha cominciato a calmarsi. Il mio giardino era un caos totale, un albero si è sradicato, molti rami sono caduti e i banani si sono spezzati. Ma la casa era ancora in piedi e integra.
Oli ha continuato la sua rotta verso sud. Le isole che più hanno sofferto del suo passaggio sono state le Australi, in particolare Rurutu e Tubuai. Si sono ritrovate nell’occhio del ciclone e tutto è andato distrutto. Gli aiuti sono partiti immediatamente alla fine dell’allerta e, grazie agli aiuti dei militari e dei volontari, stanno già ripulendo e ricostruendo.
Era stato organizzato un concerto per raccogliere fondi per Haiti, ma è stato cancellato a causa del maltempo. È stato rimandato e si è trasformato in concerto per Haiti e Tahiti.
La morale di questa favola è che anche in paradiso non si può mai stare tranquilli. Un terzo ciclone, Pat, avrebbe dovuto colpirci il 10 febbraio, ma fortunatamente ha cambiato rotta e si è indebolito.
La situazione metereologica attuale è abbastanza caotica, peggiorata sicuramente dalla presenza del Niño nel Pacifico.
Il 27 febbraio alle 4.00 del mattino le sirene hanno svegliato la popolazione, per avvertire dell'arrivo di uno tsunami causato dal forte terremoto in Cile.
E il fine settimana successivo, piogge violente e incessanti hanno provocato allagamenti, impedendo la circolazione nel centro di Papeete. Anche l'aeroporto è stato chiuso, obbligando un volo di Air Tahiti Nui ad atterrare a Hawaii. La pista era ricoperta da 30 cm d'acqua!
Spero sinceramente che la situazione migliori e che la stagione delle piogge finisca davvero presto, senza farci passare altri brutti momenti.

28 gennaio 2010

Tiare e compagnia



Il tiare è l’emblema della Polinesia Francese. Il suo profumo fresco ma potente rappresenta Tahiti meglio di qualsiasi trattato o guida di viaggio, un vago sentore è capace di proiettare chiunque su una spiaggia bianca dal mare cristallino. Non si può pensare a Tahiti senza pensare al tiare, né pensare al tiare senza pensare a Tahiti.
Tiare significa fiore in tahitiano, ma il tiare Tahiti (gardenia taitensis) è il re dei fiori polinesiani. La cultura e la vita sono strettamente legate a questo fiore. È simbolo di benvenuto e di amore. I tane (ragazzi, uomini) lo portano ancora chiuso, mentre le ragazze aperto, sull’orecchio sinistro se si è impegnati sentimentalmente, o su quello destro se si è liberi.
L’utilizzo dei fiori è una delle rare tradizioni polinesiane ancora esistenti. Non solo è perdurata, ma si è adattata ai tabù e all’evoluzione culturale. L’esempio più parlante sono sicuramente i vestiti a fiori delle vahine. I missionari, non potendo sopportare la nudità degli indigeni, hanno vestito la popolazione, in particolare le donne, con “sacchi” chiusi al collo e lunghi fino ai piedi, intesi a soffocare qualsiasi pensiero impuro e calmare gli ardori. Questi vestiti sono sopravvissuti, ma invece di rimanere delle tristi tuniche informi sono diventati abiti dai colori sgargianti e motivi floreali. Accanto al re tiare troviamo il frangipani, l’ibisco, il taina (gardenia jasminoides), l’uccello del paradiso o le foglie di uru (l’albero del pane) sotto forma di stampe per abiti o parei, ricamati sui tifaifai (lenzuola), confezionati con le fibre della noce di cocco o addirittura scolpiti nella madreperla e tatuati sulla pelle.
Potrebbero sembrare delle usanze rispolverate per i turisti, ma non è così. I fiori sono di un’importanza capitale, simbolo di appartenenza ad un popolo e ad una cultura. Nessuno si indignerà se si coglie un fiore da un giardino per metterselo sull’orecchio, o se in banca trovate ad accogliervi allo sportello un donnone in pareo e corona di fiori sul capo, o se la vostra guida si chiama Tiare. Per decenni è stato vietato l’uso di nomi tradizionali polinesiani per imporre nomi cristiani, e ora che non esiste più nessun obbligo ci si sbizzarrisce coi nomi più originali, spesso inventati, ma sempre ispirati dalla natura.
L’uso di accogliere i turisti e i viaggiatori con collane di fiori non è una trovata televisiva degli anni ’80. Secondo la tradizione ad ogni nuovo arrivo bisogna donare con una collana di fiori in segno di benvenuto, e una collanina di conchiglie augura buon viaggio a chi sta per partire. Non è raro infatti incrociare all’aeroporto persone incapaci di muovere o girare la testa a causa delle innumerevoli collane!
L’utilizzo cosmetico è molto importante, e non solo a livello polinesiano. Il tiare in particolare è l’essenza principale del monoi, ma è anche un ingrediente importante nella creazione di profumi e sentori a livello mondiale.
Questi bellissimi e profumatissimi fiori hanno saputo anche adattarsi all’evoluzione culturale e trovare un posto nei nuovi costumi occidentali importati. Ad esempio, all’inaugurazione di una barca o un nuovo palazzo, il nastro da tagliare è completamente composto di fiori, e i partecipanti alla cerimonia, invece di portare eleganti abiti scuri e cravatta, sfoderano camice colorate a fiori bianchi, le onnipresenti collane al collo e le corone sul capo.
Questo rapporto ai fiori e al mondo vegetale risulta assai logico, se diamo un’occhiata alla storia delle migrazioni del pacifico. I polinesiani, popolo di abili navigatori, i primi a sfidare questo oceano immenso, sono strettamente legati alla terra. La terra è la vita e la vita è la terra. Tutto ciò che proviene da essa è sacro, nulla va sprecato. E fiori e piante non sono da meno. Lo ritroviamo in tutte le popolazioni Maohi, dalle Hawaii con le camice a fiori alla Nuova Zelanda con la sua felce, simbolo nazionale.
L’attaccamento al fenua (la propria terra) è profondo e radicato. La Polinesia Francese è grande quanto l’Europa, ma la superficie totale della terra emersa equivale a quella del nostro Molise. Lo spazio vitale è ridotto, e chiunque rischi di rubarne un pezzetto è mal visto dai tahitiani. Ognuno di loro prende cura del sua terra, anche nei quartieri popolari in cui le case sono spesso mal ridotte, i giardini sono sempre impeccabili, il prato tagliato, gli alberi potati e le piante sane e rigogliose.
Questa è una delle tante contraddizioni tahitiane che per noi possono sembrare assurde. Le strade, i palazzi, interi quartieri sono sporchi e in condizioni pietose, ma i prati, i bordi delle strade e qualsiasi luogo dove cresca un filo d’erba è curato e ben tenuto.

Che bella storia d’amore quella tra il fenua e i suoi fiori.

E ora, prima di uscire, invece di passare ore e ore davanti allo specchio per trucco e capelli, armatevi di ago e filo e create la vostra personale corona di fiori. Se non avete tempo potete sempre fare un salto al mercato di Papeete, dove le mamas vi accoglieranno con un sorriso e, per poche centinaia di Franchi Pacifici, vi confezioneranno una splendida, coloratissima e profumatissima corona.